La coltivazione del caffè in Kenya: antiche virtù, nuovi problemi

Nonostante la vicinanza con l’Ethiopia, la coltivazione del caffè in Kenya è iniziata in tempi relativamente recenti e si è diffusa in tempi ancor più recenti.
Il Kenya non si attesta tra i maggiori produttori e oggi non esporta più di 700.000 sacchi.
Tuttavia, anche se fra qualche problema, possiamo ancora considerare i suoi chicchi fra i migliori al mondo.

Si possono far risalire al 1896 le prime produzioni e al 1893 le prime importazioni di chicchi di varietà Bourbon dall’ isola Réunion, effettuate dai Missionari francesi associati nella French Mission che, al contrario di quanto si possa pensare, non era una istituzione religiosa, ma ‘un’organizzazione di tradizione cattolica di sacerdoti secolari dediti al lavoro in terra straniera’ tuttora esistente. ( Wikipedia).
La varietà Bourbon, fra le migliori al mondo, è per questo conosciuta anche come French Mission.

Nella prima parte del secolo scorso le piantagioni, di grandi dimensioni, erano condotte da agricoltori di origine europea.

Nel 1933, con l'approvazione del Coffee Act, venne istituita la Kenyan Coffee Board che stabiliva la gestione diretta delle esportazioni dal Kenya e, nel 1934 venne istituito un sistema di aste alle quali erano ammessi solo esportatori accreditati.
Questo sistema però ha rivelato negli anni recenti grandi lacune dovute in parte alla corruzione e in parte ad una gestione che esclude i piccoli produttori e le cooperative dalle contrattazioni. Gravi ritardi nei pagamenti, percentuali risicate nelle tasche dei produttori hanno dato origine a gravi e giustificate proteste.

Nella sua dichiarazione del luglio 2021, il ministro dell’agricoltura del Kenya ha dichiarato la sua volontà di superare presto questo gap attuando politiche a tutela dei produttori migliorando l’efficienza, individuando le cause di questa disparità e, soprattutto evitando un sistema di corruzione che si è creato nel sistema.
Tra le conseguenze , al fine di ridurre i costi, viene spesso modificato il protocollo dei processi di post raccolta eliminando un passaggio nel lavaggio e quindi modificando il profilo qualitativo e sensoriale del caffè.

Le varietà che si coltivano sono principalmente la SL – 28 e la SL – 34, introdotte negli anni ’60 del secolo scorso in seguito agli studi effettuati dagli Scott Laboratories, coordinati dal Ministero dell'agricoltura del Kenya e tutt’oggi è riconosciuta la loro alta qualità. Si coltivano in quantità inferiori anche altre due varietà: Ruiru 11 e Batian

Su SL- 28 e SL – 34 di orienta però la gran parte della produzione e il profilo in tazza è considerato tutt’oggi di alta qualità, nonostante una crisi nella produzione dovuta a diversi fattori quali la costante erosione delle superfici di produzione periurbane a vantaggio dello sviluppo immobiliare e i forti squilibri fra il valore di vendita del caffè nell’esportazione, tradizionalmente molto alto anche fra i caffè commerciali  e la reale remunerazione dei coltivatori.

Il caffè viene coltivato ad altitudini che vanno da 1200 a 2300 masl.                                                      Le regioni dove si estendono le piantagioni sono dieci:

Nyeri

Murang’a

Kirinyaga

Embu

Meru

Kiambu

Machacos

Nakuru

Kisii

Trans-Nzoia, Keyo e Marakwet

La superficie coltivata in Kenya a produzione di caffè è diminuita di oltre il 30% da circa 170.000 ettari all'inizio degli anni '90 a circa 119.000 ettari nel 2020.

Anche la produzione del raccolto da reddito è diminuita di un enorme 70 percento da un picco di 129.000 tonnellate nell'anno del caffè 1983-84 a circa 40.000 tonnellate attuali.

Il caffè del Kenya è attualmente coltivato su circa 120.000 ettari distribuiti in 33 contee, sostenendo oltre 800.000 famiglie e oltre cinque milioni di cittadini direttamente e indirettamente.

Per il 2021- 2022 si prevede una esportazione assestata intorno ai 45000 tonnellate, migliorando le pratiche agricole e grazie anche alle previsioni atmosferiche favorevoli a un buon raccolto nonostante l’erosione delle superfici coltivate in prossimità delle aree metropolitane continui il suo corso come conseguenza dello sviluppo immobiliare. ( da 119000 a 105000 ettari in un solo anno).

Un risvolto non irrilevante di questo fenomeno è anche il grave danno ambientale che, l'agricoltura, se ben gestita, potrebbe ancora arginare.

La ricerca e lo sviluppo hanno comunque formato generazioni di  piccoli produttori Kenioti diffondendo fra loro un ottimo livello di conoscenza nella produzione. Il sistema delle esportazioni dovrebbe essere modificato, liberando le contrattazioni, promuovendo la qualità e riconoscendo ai coltivatori una maggior remunerazione.

Un ruolo importante è giocato dalle factories, come le chiamano in Kenya, le stazioni di lavaggio, fermentazione e selezione dei chicchi che raccolgono la produzione di molti piccoli coltivatori.

Spesso la qualità che si può trovare è molto più alta  che non quella prodotta dalle grandi farms, anche se la tracciabilità è pressoché inesistente.

Nella esportazione del caffè commodity inoltre, il Kenya ha adottato il sistema della classificazione ,molto diffuso anche in altri paesi, che combina la qualità della tazza alla misura del chicco che non sempre riflette la qualità in relazione alla misura.                                             Inoltre questo sistema allontana dalla possibilità di tracciare e quindi controllare e migliorare la filiera. 

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Fonti: J. Hoffmann ‘The World Atlas of Coffee

            C. Feran ‘Kenya and “the decline of the world’s greatest coffee”

            http://www.xinhuanet.com/english/africa/2021-07/06/c_1310044505.htm

            https://www.fas.usda.gov/data/kenya-coffee-annual-5